Il termine "mobbing" viene oggi utilizzato solo ed esclusivamente per indicare fenomeni di persecuzione nel mondo del lavoro; secondo la definizione originaria di Leymann (psicologo del lavoro che negli anni '80 in Svezia ha per primo utilizzato queto termine per definire certi comportamenti nel mondo del lavoro, «il Mobbing consiste in una comunicazione ostile e non etica perpetrata in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo che, a causa del Mobbing, è spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa e lì costretto per mezzo di continue attività mobbizzanti. Queste azioni si verificano con una frequenza piuttosto alta (definizione statistica: almeno una alla settimana) e per un lungo periodo di tempo (definizione statistica: una durata di almeno sei mesi). A causa dell’alta frequenza e della lunga durata, il Mobbing crea seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali» (H. Leymann, Mobbing Encyclopedia, http://www.leymann.se/).
Nulla a che vedere, quindi con i conflitti intra-familiari, o addirittura condominiali, perché il mobbing non è un conflitto ma è qualcosa di diverso e di molto più grave; questa generalizzazione del conceto di mobbing è pericolosa perché porta a pensare che anche il mobbing in ultima analisi non sia altro che una situazione conflittuale, portando a misconoscere la drammatica condizione dei lavoratori vittime di mobbing, cioè di persecuzione nel mondo del lavoro.
Il conflitto è infatti una condizione che vede due, o più, attori coinvolti (il prefisso "con" rimanda appunto a questo concetto di condivisione); una interazione circolare in cui ciascun soggetto coinvolto gioca la sua parte.
Nel mobbing invece si ha in maniera lineare (e non circolare) un comportamento vessatorio verso un lavoratore, da parte di un superiore o comunque rappresentante dell'azienda (mobbing verticale) o da parte di colleghi (mobbing orizzontale); è descritto anche un mobbing dal basso, diretto contro un superiore, ma è molto più raro.
Le condizioni in cui si vorrebbe vedere il cosiddetto mobbing genitoriale sono in realtà situazioni di conflittualità intra-familiare, o coniugale, ben note alla psicologia e per le quali non occorre scomodare categorie concettuali nate in altri contesti.
In questa estrapolazione, dal contesto etologico al contesto familiare, a quel che si legge negli scritti dei fautori del mobbing familiare, vengono presentati in forma scientifica concetti manipolanti e miranti a confondere il lettore. Nel mondo animale i comportamenti di mobbing vengono messi in atto contro i predatori, hanno quindi un significato evolutivo ben preciso, di difesa della comunità e non quello di espellere un membro non gradito. Il mobbing, infati è definito dagli etologi come una «reazione collettiva diretta verso un predatore da parte di potenziali prede che, con l’assalto di gruppo, lo confondono e ne scoraggiano l’attacco» (Malacarne G., 1992. Mobbing. In: Mainardi D., - eds . Dizionario di Etologia. Einaudi, 497-498). Una reazione di difesa, quindi, e non una azione di attacco verso l'altro.
Sostenere quindi che "nelle famiglie il mobbing viene messo in atto da quei coniugi che, utilizzando atteggiamenti vessatori, spingono deliberatamente i loro partner ad abbandonare la casa familiare" è scorretto; a meno che non si voglia indicare con questo il comportamento di un genitore che cerca di difendere il figlio dall'altro genitore.
La psicologia ha ormai consacrato il mobbing come persecuzione nel mondo del lavoro; l'uso di questo termine in altri contesti relazionali è solo confusivo e va evitato.
Ma per non correre il rischio di una ulteriore denuncia per diffamazione (ormai basta contestare un concetto, talvolta in maniera 'maschia', per essere tacciati di diffamazione), voglio fare una analisi del concetto di mobbing familiare.
Diamo per buono che in alcune situazioni un coniuge, di solito la madre sembra di capire, metta in atto strategie di mobbing versol'altro coniuge, che dovrebbe essere il padre.
Bene, se stiamo all'accezione originaria del termine, e cioè quella dell'etologia, di un comportamento difensivo contro il predatore, soprattutto in presenza della prole, ebbene dobbiamo ritenere che madre natura, previdente, ha conservato questo atavico comportamento nella femmina della specie umana con l'evidente finalità evolutiva di sopravvivenza della specie, per proteggere i cuccioli di uomo dai loro predatori.
Grazie madre natura!
Originale al link: http://www.facebook.com/notes/andrea-mazzeo/mobbing-familiari-condominiali-e-affini-quando-la-disinfomazione-viaggia-in-rete/497123087759
Nessun commento:
Posta un commento